RELAZIONE DI ROMANO BELLISIMA, SEGRETARIO GENERALE UILP
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- Creato Giovedì, 24 Maggio 2012 16:16
Comitato Centrale Uil Pensionati – Bari 16/17 maggio 2012
Care amiche, cari amici, care compagne, cari compagni, benvenuti in questa bella località e a questo Comitato Centrale. Nell’ultimo Comitato Centrale della Uilp del novembre scorso, oltre a celebrare i 150 Anni dell’Unità d’Italia, avevamo cercato di fare il punto sulla situazione del Paese: debito pubblico, deficit, disoccupazione, spesa pubblica, costi della politica, spread, ecc.
Da allora, lo scenario italiano ed europeo si è fatto ancora più complesso. Ci sono
stati importanti segnali di discontinuità, ma anche segnali di continuità.
Per quanto riguarda l’Europa, la grande novità è sicuramente quella rappresentata
dall’elezione del nuovo Presidente francese, Hollande. Un socialista è tornato
all’Eliseo dopo 17 anni. Una novità che potrebbe – e noi ce lo auguriamo – aprire
nuovi scenari per tutto il continente europeo e per le politiche economiche e fiscali
dell’Unione e portare a una politica nuova dell’Europa, più incentrata sulla crescita e
lo sviluppo.
Per quanto riguarda invece la crisi greca, come temevamo e avevamo previsto
preoccupati, si è avvitata su se stessa, in una spirale perversa di tagli, recessione,
crescita del debito, necessità di nuovi tagli. E le elezioni anticipate non solo non
hanno semplificato lo scenario, tanto che andranno di nuovo alle urne nel giugno
prossimo, ma lo hanno reso ancora più inquietante, con l’entrata in Parlamento di una
formazione di ispirazione apertamente neonazista.
Formazioni di destra, più o meno estremiste e più o meno dichiaratamente xenofobe,
stanno purtroppo ottenendo buoni risultati anche in altre nazioni, Francia compresa,
dove il Fronte Nazionale di Marine Le Pen ha ottenuto un indubbio successo.
In molti di questi partiti, la xenofobia si intreccia con l’antieuropeismo.
La crisi e le politiche miopi e sbagliate dell’Unione e di tanti Stati europei stanno così
mettendo in crisi quell’ideale di una Europa finalmente unita che aveva animato
grandi politici come Altiero Spinelli e convinto ed entusiasmato milioni di cittadini
del Vecchio Continente.
Stanno mettendo in crisi anche i valori e le basi di quello stato sociale, che, sia pure
declinato in modo diverso dalle differenti nazioni, costituisce un elemento
caratteristico della storia europea. Un modello di welfare di cui dobbiamo essere
orgogliosi e che dobbiamo cercare di tutelare anche in questa fase di gravissima crisi.
Lo dobbiamo migliorare, certo, renderlo più efficiente ed adeguato alla società che
cambia, ma sicuramente non dobbiamo rinnegarlo, perché fino ad oggi ha garantito,
rispetto al resto del mondo, maggiore giustizia sociale e maggior livello di benessere
per un maggior numero di cittadini. L’Europa non ha nulla da copiare dal resto del
mondo, in termini di welfare e di assistenza ai suoi cittadini. Deve essere però più
coraggiosa ed orgogliosa della sua storia e delle sue tradizioni.
Segnali di discontinuità e di continuità ci sono stati anche nel nostro Paese.
Siamo entrati in recessione e i suoi effetti drammatici cominciano ad essere evidenti.
L’aspetto sicuramente più tragico è rappresentato dai suicidi per motivi economici tra
i lavoratori e i piccoli imprenditori. Un vero bollettino di morte che coinvolge
persone di tutte le età, giovani senza più fiducia nel futuro, adulti schiacciati dal peso
dei debiti e delle responsabilità familiari e anche anziani. Qui voglio solo ricordare il
suicidio dell’anziana donna 78enne di Gela, cui era stata ridotta la pensione e che per
questo si è tolta la vita.
In questo difficile contesto, il Governo Monti ha cominciato ad attuare le sue
politiche.
La mia relazione all’ultimo Comitato Centrale si concludeva con gli auguri al
professor Monti per la formazione del suo Governo, con la speranza e la
sollecitazione che il nuovo esecutivo affrontasse finalmente quelle che per noi erano
le priorità fondamentali per contrastare la crisi, garantire l’equità e promuovere lo
sviluppo.
Chiedevamo la riforma fiscale per ridurre le tasse sul lavoro e sulle pensioni, così da
rilanciare i consumi e con essi sostenere la ripresa economica e l’occupazione.
Chiedevamo la riduzione dei costi impropri della politica, la razionalizzazione della
spesa pubblica, la lotta agli sprechi, ai privilegi, all’evasione fiscale e contributiva,
per liberare risorse da destinare allo sviluppo e rendere più giusto ed efficiente il
nostro Paese.
Purtroppo, le cose sono andate diversamente da come le avevamo auspicate.
Ci è stato detto che non c’era tempo, che il Paese era sull’orlo di un burrone e che
bisognava agire in fretta.
Cosi è nata la pessima riforma delle pensioni, senza alcun confronto con le parti
sociali, con l’innalzamento repentino dell’età pensionabile, il grande pasticcio degli
esodati e il blocco per due anni dell’indicizzazione delle pensioni superiori a tre volte
il minimo, blocco che ha prodotto una riduzione di fatto delle pensioni. 3
Come se non bastasse, sono stati anche decisi notevoli aumenti delle tasse, delle
accise e delle tariffe: dall’Iva alle addizionali Irpef; dalla benzina al gasolio, al gas,
all’elettricità; dai trasporti alle assicurazioni; fino all’istituzione dell’Imu sulla casa.
Alcuni di questi aumenti, come l’Iva e il carburante, hanno ripercussioni immediate
sugli aumenti di molti altri beni e servizi, a partire da quelli di prima necessità, come
gli alimentari.
Aumenti ed imposte che gravano prevalentemente sempre sugli stessi soggetti,
pensionati e lavoratori dipendenti, e che hanno portato la tassazione in Italia a livelli
record.
A tutto questo si è poi aggiunta la riforma del mercato del lavoro, con le sue luci, le
tante ombre e le tante contraddizioni.
A poco o a nulla sono servite le numerose proposte e proteste dei sindacati, segno
evidente che il Governo intende ridisegnare anche il ruolo del sindacalismo
confederale nel nostro Paese.
Sostengono il falso, con atteggiamenti demagogici e di propaganda antisindacale
coloro che affermano che i sindacati confederali sono dei conservatori, capaci di dire
solo dei no ad ogni riforma innovativa. E spesso a parlare sono le stesse persone che
vogliono difendere i propri privilegi a discapito della collettività.
Costoro ignorano la storia del sindacalismo confederale. Non ricordano il grande
contributo dei Sindacati confederali al risanamento dei conti negli anni Novanta, con
il Governo Amato, con il Governo Dini e con il Governo Prodi. Un contributo che ha
consentito all’Italia di entrare nell’euro fin dall’inizio. E fanno finta di non sapere che
l’unica riforma seria delle pensioni fu quella varata dal Governo Dini nel 1995, che
porta la firma di Cgil, Cisl e Uil. Non ricordano che Cgil, Cisl e Uil hanno
successivamente concordato con il Governo Prodi ulteriori modifiche al sistema
pensionistico, così da renderlo uno dei sistemi più sostenibili del mondo. Altro che
conservatori.
Al di là di ogni valutazione sull’operato del Governo Monti, oggi dobbiamo tentare
un bilancio oggettivo di ciò che le misure dell’attuale esecutivo hanno prodotto
sull’economia del Paese e sulle sue prospettive future. E questo anche al fine di
evitare giudizi approssimativi o ideologici. Noi non nutriamo simpatia o antipatia nei
confronti del Governo Monti, ma intendiamo fare una analisi serena e seria degli
effetti delle sue politiche.
Il primo effetto negativo, che come Uil avevamo ampiamente previsto e denunciato, è
la caduta in recessione della nostra economia.
Attualmente, il Pil è a meno 1,6%. Si devono poi considerare i 5 punti persi nel 2008,
per una diminuzione totale di Pil di 7 punti, più la mancata crescita. E non siamo 4
ancora in grado di prevedere quanto durerà la recessione e quale sarà la perdita di
ricchezza complessiva del Paese.
Sappiamo però che ci vorranno molti anni di sacrifici per recuperare questa perdita,
ammesso che l’economia ritorni a crescere.
Non era però difficile prevedere la recessione, in presenza di provvedimenti incentrati
sui tagli alle pensioni e sull’aumento della pressione fiscale, provvedimenti che
inevitabilmente hanno depresso ulteriormente i consumi e di conseguenza il sistema
produttivo e l’occupazione. Sono ormai tantissime le indagini che, quasi
settimanalmente, certificano la riduzione dei consumi, della ricchezza e del risparmio
delle famiglie e la perdita di fiducia dei cittadini.
Il secondo dato riguarda il debito pubblico: nonostante le tre manovre del Governo
Berlusconi e quelle successive del Governo Monti, il debito ha continuato a crescere,
superando il 123% del Pil e portandosi a ridosso dei 2mila miliardi di euro in valore
assoluto.
Anche questo era prevedibile, dal momento che i governanti non hanno tagliato la
spesa pubblica improduttiva e hanno preferito aumentare le tasse per coprire il
fabbisogno pubblico, trascurando il fatto che l’inevitabile e conseguente recessione
economica avrebbe annullato l’effetto positivo delle maggiori entrate per tassazione.
E così, come nel giuoco dell’oca, siamo tornati al punto di partenza, con l’aggravante
di ritrovarci con un debito pubblico più alto di prima, una tassazione da record
mondiale – per chi le tasse le paga –, la disoccupazione alle stelle, l’economia in
consistente recessione e la maggioranza delle famiglie più povere di prima.
In queste condizioni, come sostiene anche il Fondo monetario, il pareggio di bilancio
nel 2013 potrebbe diventare un miraggio e la ripresa economica sempre più difficile e
più lontana nel tempo.
Il terzo dato riguarda la distribuzione della ricchezza nazionale. Secondo la Banca
d’Italia, nel 2010 il 45% della ricchezza complessiva del Paese era concentrata nelle
mani del 10% degli italiani. Nel 2011, quel 10% ha accresciuto la propria ricchezza
fino al 46%. E nel 2012 si teme possa addirittura superare il 50%, a fronte del
progressivo impoverimento del restante 90% della popolazione.
È del tutto evidente che c’è la necessità di ridistribuire più equamente la ricchezza
prodotta e questa ridistribuzione si sarebbe dovuta fare già da tempo attraverso una
seria riforma fiscale, come noi rivendichiamo da anni. Sarebbe dovuta essere questa
infatti la prima priorità del nostro Paese di fronte alla crisi.
Il quarto dato riguarda la disoccupazione. In due anni è cresciuta di oltre due punti
percentuali, passando dal 7 ad oltre il 9%. E continua purtroppo a crescere. Forse, 5
dopo tanti anni, avremo di nuovo una disoccupazione a due cifre. E la prospettiva non
è certo allettante.
Il danno maggiore lo subiscono i giovani: uno su tre non ha un lavoro e non riesce a
trovarlo, perché in tempi di crisi è molto difficile creare nuovi posti di lavoro. Sono
ormai moltissimi i giovani che il lavoro neanche lo cercano più e vivono in una sorta
di limbo senza studiare e senza lavorare. E quale futuro può avere un Paese i cui
giovani non hanno lavoro, non hanno prospettive, non hanno speranze?
Avere poi allungato così tanto l’età pensionabile ha come conseguenza l’eliminazione
di quel poco di turnover di cui prima i giovani potevano avvantaggiarsi.
Con la modifica degli ammortizzatori sociali, inoltre, proposta dal Governo e in
discussione al Parlamento, in caso di crisi aziendale i criteri per i licenziamenti
collettivi tenderanno a privilegiare l’espulsione dei giovani – con minori carichi di
famiglia e in teoria più facilmente rioccupabili – piuttosto che dei lavoratori più
anziani, a differenza di quanto avvenuto finora quando erano possibili forme di
mobilità per accompagnare i lavoratori alla pensione.
Il rischio che si corre dunque è che saranno i più giovani a perdere più facilmente il
lavoro.
Ma non bisogna neppure dimenticare la disoccupazione al Sud, che ha raggiunto
livelli drammatici, la disoccupazione femminile e quella nelle fasce di età più elevata.
Né dobbiamo dimenticare gli esodati, tutti quei lavoratori prossimi alla pensione che
avevano accettato di lasciare il lavoro in anticipo e che improvvisamente, con
l’allungamento dell’età pensionabile, rischiano di rimanere senza salario e senza
pensione. E le soluzioni avanzate finora dal Governo continuano ad essere inadeguate
e insoddisfacenti.
Un altro dato importante riguarda l’andamento dell’inflazione e dello spread.
Nonostante il calo dei consumi, meno 2,7%, e la scarsa liquidità delle famiglie,
l’inflazione ha continuato a crescere e attualmente è al 3,3 %, più alta della media
europea, con gravi conseguenze sul potere d’acquisto di pensioni e salari.
Va anche ricordato che da oltre 5 anni il prezzo dei beni a maggior frequenza di
acquisto, quelli, per intenderci, maggiormente consumati dai pensionati, cresce assai
più dell’inflazione generale ed è arrivato al 4,7%.
Possiamo dire che l’inflazione è una ulteriore tassa iniqua che grava sulle pensioni e
sui salari.
Lo spread si è effettivamente abbassato, e questo costituisce un indubbio successo del
Governo Monti, anche se rimane ancora troppo alto e purtroppo in questi giorni sta 6
tornando di nuovo a crescere a livelli di guardia. Questo rende molto costoso
finanziare il nostro debito pubblico.
Per una valutazione più approfondita, tuttavia, avremmo bisogno di conoscere alcuni
dati, di cui al momento non disponiamo.
Lo spread è aumentato drammaticamente alla fine dello scorso anno, perché il
mercato ad un certo punto non si è più fidato della capacità del nostro Paese di
produrre sufficiente ricchezza per onorare i propri debiti. Purtroppo, però, nonostante
il cambio di governo, dal novembre 2011 l’economia italiana è andata ulteriormente
peggiorando, fino alla recessione.
Come mai, allora, il mercato ha ritrovato, almeno in parte, la fiducia verso il nostro
debito? Ricordiamo che alla fine del 2011 lo spread aveva superato i 570 punti e poi
effettivamente si è abbassato notevolmente, ben sotto i 300 punti. Si sostiene che ciò
sia dovuto alla capacità comunicativa, alla serietà e all’autorevolezza internazionale
del professor Monti, doti decisamente migliori di quelle del suo predecessore
Berlusconi. E questo è indubbiamente vero. Tuttavia, sappiamo anche che il mercato
finanziario vuole soprattutto fatti, numeri, certezze. E i fatti, i numeri e le certezze
non sono favorevoli alla nostra economia.
A questo punto, sarebbe interessante conoscere la geografia dei soggetti che
comprano il debito italiano per capirne un poco di più.
Ad esempio, sarebbe interessante conoscere il ruolo delle banche nell’acquisto del
debito italiano. Dato che il sistema bancario europeo ha ricevuto complessivamente
dalla Bce (parliamo quindi di soldi pubblici) circa mille e 200 miliardi di euro al tasso
dell’1% e poiché le banche italiane al momento non finanziano né le imprese né le
famiglie, è legittimo supporre che abbiano utilizzato e utilizzino questi soldi per
comprare titoli pubblici a un tasso di rendimento decisamente più alto di quello
pagato alla Bce per finanziarsi. Un guadagno quindi senza alcun rischio e sempre
fatto con denaro pubblico.
Questa operazione potrebbe aver contribuito ad abbassare lo spread, facendo
guadagnare un bel po’ di soldi alle banche. Come dice un vecchio proverbio “si
prendono due piccioni con una fava”. Si abbassa lo spread, relativamente, e si
finanziano le banche, ma per i cittadini e le imprese non c’è nulla.
Ovviamente, si tratta di ipotesi. Forse ci sono anche altre spiegazioni. Ma quando si
osserva un bilancio, si analizzano tutti i dati e si valuta se il bilancio è positivo, in
pareggio o in perdita.
E il bilancio economico, finanziario e sociale del nostro Paese è decisamente
negativo. 7
Un Paese che trae la propria ricchezza esclusivamente dal lavoro e che invece di
valorizzarlo e promuoverlo, lo penalizza in tutti i modi, aggravandolo di tasse e
normative sfavorevoli, è un Paese che non può e non vuole avere alcun futuro.
La crisi che stiamo attraversando non è solo economica, ma è anche politica, morale,
etica. Al posto di valori quali la solidarietà, la giustizia, l’equità, che bene o male in
passato hanno ispirato i rapporti sociali e politici, oggi prevalgono l’individualismo,
l’ingiustizia, il facile arricchimento dei traffichini, l’arroganza dei potenti. Personaggi
che hanno redditi di diverse decine di migliaia di euro al mese si propongono come
censori nei confronti di quanti tirano la carretta con 500 o mille euro.
Molto eloquenti ad esempio le dichiarazioni del Presidente dell’Inps Mastrapasqua, il
quale, preoccupato del fatto che i giovani, stante l’attuale situazione, difficilmente
potranno avere pensioni dignitose, propone di ridurre quelle in essere, in modo da
limitare le differenze. Meglio tutti poveri, purché non si riducano i suoi redditi, che
ammontano a ben 1 milione e 200mila euro l’anno.
Sono, questi, tutti fattori che, uniti alla crisi economica, stanno minando la coesione
interna del Paese e lo espongono al rischio di una pericolosa rottura sociale. Come
non cogliere i segnali di una profonda sfiducia dei cittadini verso la politica, che
emergono anche dai risultati delle recenti elezioni amministrative. Certo, si è trattato
di un test parziale – meno di un terzo gli elettori interessati al voto – ma l’elevato
astensionismo, la frammentazione delle liste elettorali, la crescita del voto di protesta
a discapito dei partiti tradizionali, sono molto di più di un semplice segnale e
costituiscono a mio avviso un serio campanello di allarme.
Contro questa deriva è necessaria e urgente la buona politica e soprattutto, come
abbiamo sempre rivendicato noi pensionati, un sindacato forte, autorevole,
indipendente, che sia riconosciuto dalla società e dalle istituzioni come una autentica
autorità sociale. Altrimenti, le nostre proposte e le nostre azioni saranno sempre meno
influenti sul piano sociale e sulle scelte dei governi.
Può piacere o no, ma nelle democrazie contemporanee vince chi ha il consenso e non
chi ritiene di avere ragione da solo.
Il movimento sindacale è sempre stato, e continua ad essere, il maggior difensore
della democrazia e della libertà, contro ogni forma di violenza e di terrorismo,
vecchio e nuovo, che condanniamo sempre con grande fermezza e determinazione.
Lo abbiamo dimostrato nella storia di questo Paese. Il sindacato ha combattuto con
decisione il vecchio terrorismo e con la stessa decisione combatterà il nuovo, qualora
dovesse tornare.
La Uil è stato l’unico sindacato che si era dichiarato contrario a un governo tecnico,
sostenendo che, proprio per la gravità della crisi economica e finanziaria cui far
fronte, era necessario un governo eletto democraticamente dai cittadini, che avesse 8
una prospettiva temporale di 5 anni, sufficientemente lunga per poter affrontare la
situazione e rassicurare i mercati. Mentre il governo tecnico, bene che vada, ha una
prospettiva temporale di un anno.
Inoltre, il governo tecnico per sua natura non ha alcun vincolo né con l’elettorato, né
con le parti sociali. E questo va a discapito della giustizia sociale e della
partecipazione democratica ai processi di risanamento economico e alla ripartizione
dei sacrifici.
Noi siamo consapevoli che per superare l’attuale crisi sono necessari pesanti sacrifici
da parte di tutti i cittadini e una politica dell’Unione europea più coesa, con meno
egoismi nazionalistici e maggiore consapevolezza della storia dell’Europa, della sua
cultura e delle sue potenzialità.
I sacrifici si possono anche accettare se sono equamente distribuiti tra tutti i cittadini
e se gli obiettivi sono chiari e condivisi. Viceversa, se a pagare sono sempre i soliti
noti, cioè pensionati e lavoratori dipendenti, e se gli obiettivi sono incomprensibili,
allora si rischia di rompere l’equilibrio sociale e le conseguenze possono essere
davvero imprevedibili e devastanti per tutti.
È l’Europa che deve indicare e proporre le politiche per superare la crisi tutti insieme
e non l’uno a discapito degli altri, come purtroppo sta accadendo in questa fase.
Il mondo che uscirà da questa crisi non potrà essere migliore del precedente fino a
quando la politica, la buona politica, non avrà riconquistato la supremazia sul potere
finanziario, che oggi esercita saldamente la sua influenza in tutto il mondo, a
discapito dell’economia reale e dell’equilibrio sociale.
In un tale contesto, i sindacati confederali italiani hanno dimostrato, ancora una volta,
un altissimo senso di responsabilità, tenendo ferma la loro contrarietà verso le scelte
sbagliate del Governo, ma senza mai cadere nella trappola dello scontro frontale che
avrebbe condotto il movimento sindacale italiano a fare la stessa fine dei sindacati
greci o spagnoli.
Il nostro obiettivo è resistere, manifestare il dissenso con continuità e conquistare il
consenso della maggioranza dei cittadini sulle nostre proposte.
Un primo risultato positivo l’abbiamo raggiunto con la ritrovata unità d’azione di
Cgil, Cisl e Uil, che ci rende oggettivamente più forti di fronte al Governo e più
credibili tra i lavoratori e i pensionati.
Adesso dobbiamo definire una strategia che consenta al sindacato di utilizzare a
pieno tutto il suo potenziale per ottenere le buone riforme per fare ripartire il Paese. 9
Scioperi, manifestazioni, sit-in ne abbiamo fatti tanti e ne continueremo a fare ancora,
dosando adeguatamente le iniziative, senza dargli mai il senso di ultima spiaggia,
perché noi dobbiamo resistere anche oltre questo Governo.
E alla fine la politica si dovrà convincere che avevamo e abbiamo ragione noi.
In questa logica si inserisce la grande manifestazione unitaria di protesta e di proposta
del 2 giugno, decisa da Cgil, Cisl e Uil per una diversa politica economica, più attenta
all’equità e maggiormente orientata alla crescita.
La scelta della data ha un particolare significato: il 2 giugno è la festa della
Repubblica e il sindacato con le sue proposte intende contribuire a rafforzare la
coesione nazionale e a difendere i valori costituenti della nostra Repubblica. Il primo
articolo della nostra Costituzione infatti afferma che l’Italia è una Repubblica
democratica fondata sul lavoro. Un’affermazione importantissima, troppo spesso
dimenticata nei fatti, al di là della retorica.
Il valore del lavoro e delle persone che lavorano è stato spesso sottovalutato ed è
trascurato soprattutto oggi, in questa crisi gravissima che stiamo attraversando. Anzi,
la sottovalutazione del lavoro è stata una delle cause che hanno portato alla crisi.
L’idea che potesse esistere una ricchezza scollegata dal lavoro, una finanza scollegata
dall’economia reale ci ha portato alla situazione attuale. Per uscire dalla crisi invece è
proprio il lavoro che va valorizzato e promosso.
Il sindacato, inoltre, ancora una volta, non gioca allo sfascio nel momento più grave
della crisi, colpendo il sistema produttivo con uno sciopero generale, ma
responsabilmente sceglie una grande manifestazione popolare in una giornata festiva,
avvertendo il Governo che la pazienza e il senso di responsabilità hanno un limite.
Guai a superarlo, perché si romperebbe davvero l’equilibrio sociale di questo Paese.
Non vi sfuggirà dunque l’importanza di questo appuntamento e la necessità di
dedicare il massimo impegno per la sua riuscita e per una massiccia partecipazione
dei pensionati e di tutti i cittadini.
E’ necessario a questo punto ricordare a tutti i nostri attivisti e dirigenti che non si
devono lasciare influenzare dai quotidiani o dalle televisioni, che danno della crisi e
delle posizioni del sindacato una informazione parziale e spesso distorta. Devono
invece sostenere e rappresentare le posizioni effettive del sindacato, diffondendo i
documenti ufficiali approvati dagli organismi statutari, che su ogni atto del Governo
esprimono puntualmente e con chiarezza la linea sindacale.
Fare chiarezza, in una fase di così grande confusione e disinformazione, è infatti
fondamentale, proprio per far valere le nostre ragioni e per conquistare il consenso
dei cittadini sulle nostre idee. 10
Da questa crisi si può uscire bene, se avremo la capacità di convincere i cittadini a
sostenere le nostre proposte, le proposte dei sindacati confederali e a dispiegare la più
ampia partecipazione di massa, la sola cosa che può effettivamente fare la differenza
e condizionare i governi verso scelte di equità e di sviluppo.
In questa linea, si inseriscono le iniziative unitarie che abbiamo assunto come
Sindacati dei pensionati. Gli Esecutivi unitari di Spi, Fnp e Uilp del 4 aprile scorso
hanno condiviso la necessità di rilanciare l’iniziativa congiunta, approvando tre
documenti, proposti dalle tre Segreterie nazionali, che hanno individuato le priorità su
cui chiamare alla mobilitazione e all’impegno tutti i pensionati.
Come sapete, in uno dei documenti sono indicate le linee guida per la contrattazione
territoriale sociale. L’obiettivo è quello di aprire vertenze in tutti i Comuni d’Italia
con la presentazione di piattaforme attraverso le quali rivendicare le tutele sociali e i
diritti dei pensionati e delle persone anziane. I progetti rivendicativi dovranno essere
definiti con la massima partecipazione degli iscritti e dovranno costituire l’occasione
per una vasta campagna d’informazione e di coinvolgimento dell’opinione pubblica,
proprio al fine di acquisirne il consenso e la più ampia condivisione.
La contrattazione territoriale è sempre stata al centro dell’azione sindacale della Uil
Pensionati, ma oggi è ancora più strategica. Le scelte delle amministrazioni locali,
infatti, incidono sempre più massicciamente sulla qualità della vita e sui redditi dei
cittadini, dalla sanità all’assistenza, dai servizi pubblici alle imposte locali e alle
tariffe.
Per questo, è necessario fare una contrattazione territoriale mirata, costruendo
piattaforme rivendicative specifiche, con proposte efficaci, adeguate ai bisogni dei
cittadini anziani e collegate alla realtà del territorio, alla legislazione locale, alle
scelte delle diverse amministrazioni.
Dobbiamo impedire con tutto il nostro impegno che Comuni e Regioni scarichino le
loro difficoltà di bilancio sui più deboli, sui pensionati, gli anziani, le persone non
autosufficienti.
Dobbiamo chiedere agli amministratori locali, così come lo chiediamo al Governo
nazionale, una maggiore razionalità ed efficienza della spesa, la riduzione degli
sprechi e dei costi impropri della politica, un fisco che favorisca i redditi fissi e scelte
che non penalizzino i pensionati e i lavoratori.
È questa l'occasione per le strutture Uilp di mettere a frutto le competenze acquisite
nei corsi di formazione che abbiamo realizzato nei mesi scorsi sulla lettura dei bilanci
delle amministrazioni locali. 11
Gli altri due documenti affrontano anch’essi temi di fondamentale interesse per
l’intero Paese e in particolare per i pensionati e i lavoratori dipendenti: le politiche
fiscali e la non autosufficienza.
Per quanto riguarda la fiscalità, nel documento si evidenzia come il fisco italiano
colpisca i redditi da pensione con una imposizione più elevata di quella di altri
importanti Stati europei. A parità di importo lordo, un pensionato italiano si trova
così ad avere un reddito netto disponibile più basso del 15% rispetto a un pensionato
tedesco, francese o spagnolo.
Questa anomalia italiana condiziona in negativo anche il confronto con gli altri Paesi
europei sulla sostenibilità della spesa previdenziale.
Non va neppure dimenticato che, a causa dell’enorme evasione ed elusione fiscale,
pensionati e lavoratori dipendenti in Italia pagano la quasi totalità dell’Irpef
nazionale, che grava sui soli pensionati per circa un terzo.
Noi chiediamo una riforma fiscale che faccia finalmente pagare le tasse a chi non le
ha mai pagate e ridistribuisca risorse a pensionati e lavoratori dipendenti, utilizzando
le somme recuperate dal contrasto all’evasione fiscale.
La riforma fiscale deve inoltre tenere adeguatamente conto delle specifiche tipologie
delle famiglie di pensionati, con particolare attenzione alle persone anziane che
vivono sole (che sono in maggioranza donne molto anziane), alle persone non
autosufficienti, ai pensionati con trattamenti di importo così basso da avere difficoltà
ad affrontare persino le più essenziali spese quotidiane.
Anche nella revisione delle detrazioni e delle deduzioni deve essere assicurata grande
attenzione alle tipologie delle famiglie dei pensionati, in particolare alle famiglie
monopersonali e a quelle con persone non autosufficienti.
Così come devono essere garantiti i diritti delle persone anziane, disabili e non
autosufficienti nella revisione dell’Isee.
Nell’ultimo documento si affronta l’annoso problema della non autosufficienza,
sempre più spesso legata alle patologie dell’invecchiamento della popolazione.
Su questa vertenza, da oltre dieci anni i Sindacati dei pensionati si battono
unitariamente per una legge organica che garantisca a tutte le persone non
autosufficienti tutele e servizi adeguati ed omogenei su tutto il territorio nazionale. A
questo fine, erano state raccolte oltre 700mila firme a sostegno di una legge di
iniziativa popolare, rimasta purtroppo inevasa dal Parlamento.
Con l’ultimo Governo Prodi avevamo ottenuto un primo risultato con la costituzione
del Fondo nazionale per le non autosufficienze, con un finanziamento annuo che alla
fine, anche grazie alle nostre pressioni, aveva raggiunto i 400 milioni di euro. 12
Dopo la cancellazione del Fondo da parte del successivo Governo Berlusconi,
cancellazione confermata dall’attuale esecutivo, e in seguito all’esplodere della crisi
economica e ai tagli dei trasferimenti economici a Comuni e Regioni, corriamo
seriamente il rischio che questo tema venga definitivamente rimosso dal Governo,
lasciando milioni di persone nella disperazione e nell’esclusione sociale.
Con la nostra iniziativa intendiamo quindi richiamare l’attenzione della pubblica
opinione e delle istituzioni su questo gravissimo dramma sociale.
Il Sindacato dei pensionati deve ritenersi impegnato, a ogni livello, a rivendicare un
Piano nazionale e omogeneo di servizi, di assistenza e di cure per le persone non
autosufficienti in tutto il Paese.
Al Governo centrale e al Parlamento chiediamo una legge organica adeguatamente
finanziata, per garantire omogeneità di trattamento su tutto il territorio nazionale a
tutti i cittadini non autosufficienti.
A questo fine, lo scorso 7 maggio come Spi, Fnp e Uilp, congiuntamente alle
Confederazioni, abbiamo avuto un incontro con il Sottosegretario al Lavoro Cecilia
Guerra. Un incontro che, come Spi, Fnp e Uilp, avevamo già richiesto al ministro
Fornero nel febbraio scorso.
Il Sottosegretario, pur definendo l’incontro interlocutorio, ha mostrato attenzione alle
nostre argomentazioni e disponibilità a proseguire il confronto nella prospettiva di
realizzare un sistema universale di tutele. Ha tuttavia anche evidenziato l’esiguità
delle risorse disponibili. Ma a questo, come dire, si può trovare rimedio.
Noi abbiamo preso atto della disponibilità del Sottosegretario a trovare soluzioni
adeguate per la non autosufficienza, che, come abbiamo più volte evidenziato, si
delinea ormai come una delle emergenze del nostro Paese e coinvolge milioni di
cittadini, tra persone non autosufficienti e loro familiari.
Abbiamo ribadito inoltre la necessità di garantire l’accesso a cure e servizi efficaci e
adeguati a tutte le persone non autosufficienti, eliminando le grandi disparità
nell’offerta di servizi oggi esistente tra le diverse Regioni.
Definire un progetto organico per la tutela delle persone non autosufficienti in ogni
Regione italiana è quanto mai necessario e urgente, anche per interrompere un
metodo spesso dispendioso e inefficace di interventi a pioggia, che risultano sovente
discriminanti e forieri di ulteriori squilibri territoriali.
Si apre ora, almeno per le Regioni meridionali, dove sono maggiori i ritardi nelle
politiche per la non autosufficienza, la possibilità di utilizzare nuove risorse
provenienti dai Fondi strutturali europei. Fondi che il ministro Barca vuole destinare
specificatamente al potenziamento di servizi di cura per l’infanzia e per gli anziani 3
non autosufficienti. Si tratta del Piano per il Sud contro la povertà presentato dal
Governo nei giorni scorsi.
Su questi aspetti, abbiamo chiesto a Luigi Veltro, del dipartimento del Segretario
confederale Guglielmo Loy, un intervento ai nostri lavori per spiegarci meglio lo
stato dell’arte.
Sempre sullo stesso tema e per approfondire in particolare l’utilizzo dei Fondi
europei per l’assistenza integrata alle persone non autosufficienti, stiamo inoltre
organizzando assieme alla Confederazione una giornata seminariale, con il
coinvolgimento delle strutture Uilp e Ada delle regioni interessate, congiuntamente
alla Uilp e all’Ada nazionale.
A sostegno delle nostre rivendicazioni, come sapete, le Segreterie nazionali di Spi,
Fnp e Uilp hanno deciso una giornata di mobilitazione unitaria per il prossimo 20
giugno.
La mobilitazione sarà articolata in tre grandi manifestazioni. Una qui a Bari, dove
confluiranno i pensionati del’Italia meridionale, una a Roma per l’Italia centrale e una
a Milano per l’Italia settentrionale.
Le tre manifestazioni saranno concluse dai tre Segretari generali dei pensionati. A
Bari sarò presente io; a Roma Carla Cantone e a Milano Gigi Bonfanti.
Pur comprendendo il notevole sforzo organizzativo che questi impegni richiedono,
dobbiamo anche renderci conto che stiamo vivendo una fase straordinariamente
delicata per il futuro di milioni di pensionati, di anziani, di non autosufficienti e che
dalla nostra capacità di mobilitazione e di partecipazione possono dipendere i risultati
che vogliamo raggiungere.
Nel concludere questa relazione, desidero richiamare la vostra attenzione sull’Ada, la
nostra associazione di volontariato.
L’Ada ha finalmente definito il suo nuovo assetto statutario e organizzativo ed ha
eletto i nuovi organismi nazionali. Può quindi dispiegare tutto il suo potenziale, a
sostegno delle persone anziane e delle fasce più deboli della società.
È assolutamente necessario che ogni struttura della Uilp assicuri la massima
collaborazione e partecipazione alle attività dell’Ada, con cui bisogna stabilire un
vero e proprio processo di osmosi.
In conclusione, so bene che ci sarebbero molte altre questioni da affrontare. Alcune
saranno trattate negli interventi dei colleghi di Segreteria, altre le dobbiamo rinviare a
una prossima occasione, perché sono convinto che non sia mai produttivo allungare
eccessivamente la lista degli argomenti in discussione.
Di un argomento in particolare mi dispiace di non potervi parlare approfonditamente:
della Conferenza di organizzazione e della necessità di riforme per la Uil nel suo
complesso.
La Direzione nazionale della Uil l’altro ieri ha definito le regole organizzative della
Conferenza nazionale, ma non sono state ancora definite le linee generali su cui
incentrare la discussione, la riflessione e il dibattito.
Per quanto riguarda le regole, sono quelle che di solito si stabiliscono per le grandi
assemblee. La Conferenza nazionale della Uil avrà 1.500 delegati: 500 attribuiti alle
categorie, 500 alle strutture confederali e 500 ai servizi. E questo è positivo, perché
avrà molta importanza anche attuare una riforma che coinvolga il nostro sistema dei
servizi.
Sono state poi stabilite le ripartizioni dei delegati per ognuno di questi tre gruppi. È
stato dunque individuato il numero dei delegati di ogni categoria in base al numero
degli iscritti.
A noi, devo dire, spetta un numero significativo di delegati, 173, che rappresentano
una percentuale importante dei delegati di tutte le categorie. La scelta dei delegati la
dovremmo fare qui, in questo Comitato Centrale. Non siamo tuttavia in grado oggi di
proporvi i 173 nominativi, perché non abbiamo avuto il tempo materiale di fare una
analisi precisa struttura per struttura, Provincia per Provincia, di elaborare i dati e
calcolare le percentuali, così da assicurare il massimo coinvolgimento di tutti e la
migliore partecipazione. Alla fine di questo Comitato Centrale vi chiederemo dunque
di approvare una delibera con la quale dare mandato alla Direzione nazionale Uilp di
stabilire i criteri di ripartizione della rappresentanza della nostra categoria.
Dopo la Conferenza nazionale Uil si svolgeranno poi le Conferenze nazionali di
categoria e quelle regionali, che dovranno dibattere i documenti che usciranno dalla
Conferenza nazionale.
Si tratta quindi di un grande impegno democratico, di partecipazione, di analisi di ciò
che il sindacato è oggi, di ciò che vuole essere domani, di come affronta e di come
vuole affrontare i cambiamenti che stanno avvenendo nella società e nel mondo. Un
impegno davvero importante e che dobbiamo essere in grado di gestire nel modo
migliore.
Ad ogni buon conto, come Uilp stiamo preparando per il mese di giugno una
Direzione nazionale a carattere seminariale, per cominciare a ragionare su delle idee
di modifiche organizzative da proporre noi al dibattito confederale. Anche noi
abbiamo delle idee, ne abbiamo parlato, ne abbiamo discusso in passato. Abbiamo
fatto anche interventi nei Congressi e nei Comitati Centrali confederali per chiedere
certezza delle regole, per chiedere modifiche che finora non siamo ancora riusciti ad
ottenere. Noi vogliamo contribuire al rafforzamento della Uil, al potenziamento del
suo radicamento nei territori. Cominceremo quindi a discutere in questa Direzione
seminariale e poi porteremo i risultati di questa discussione al dibattito della Uilp e
della Confederazione.
Concludo, ringraziando Rocco Matarozzo e tutta la Uilp di Puglia per l’ospitalità e
per la calorosa accoglienza. E Aldo Pugliese per la sua affettuosa, come è sua
consuetudine, partecipazione ai nostri lavori.
Voglio anche esprimere un ringraziamento sentito a tutta l’organizzazione, per la
serietà, la costanza e l’impegno dimostrati anche in questa fase caratterizzata da tante
difficoltà e da tante ingiustizie.
Fare sindacato oggi è davvero difficile, ma noi dobbiamo continuare, perché la nostra
è davvero una missione: rappresentare i nostri iscritti e tutti i pensionati, gli anziani, i
lavoratori con impegno continuo, sapendo che non possiamo permettere che il peso
del sindacato si riduca, perché se questo peso si riduce, si riduce la qualità della
nostra democrazia.
Noi dobbiamo dunque essere consapevoli di questo impegno. Un impegno che ci
consente di continuare a tenere alto con orgoglio l’onore della Uilp. E della Uil,
perché noi siamo parte integrante della Uil, il sindacato dei cittadini.
Bari, 16 maggio 2012