Presentazione del libro “Camicette bianche” di Ester Rizzo. Parisi: “Un’occasione per parlare di donne e immigrazione”

“Un’occasione per parlare di donne, diritti e immigrazione” così commenta l’evento organizzato dal Comune di Erice lo scorso 5 marzo, Antonella Parisi – Responsabile Territoriale Uil Pari Opportunità. Interessantissimi gli interventi da parte di alcune donne del territorio che hanno mostrato forza e determinazione nella lotta contro le ancora attuali discriminazioni nei confronti del genere femminile.

“Donne e immigrazione “ è l’argomento dell’intervento di Antonella Parisi che ha voluto dare il proprio contributo all’evento trattando un tema spinoso e quanto mai attuale, e del quale vi proponiamo un abstract.

Nel nostro paese, secondo uno studio condotto dai ricercatori dell’Isfol, è in atto da diversi anni un processo di femminilizzazione dei flussi migratori che ha coinciso con la sempre crescente domanda di badanti e colf straniere da parte delle famiglie italiane.

Le donne rappresentano la maggioranza dei lavoratori stranieri impiegati nel settore della cura domiciliare.

Si tratta di lavoratrici mediamente più giovani rispetto alle italiane, con un livello di istruzione superiore e che lavorano un numero maggiore di ore settimanali.

In Italia, secondo i dati Caritas/Migrantes (2009), le donne immigrate guadagnano annualmente il 39,7% in meno degli uomini immigrati, soprattutto a causa del massiccio inserimento nel lavoro domestico e di cura.

Molto diffuso è il lavoro nero, nonostante si sia verificato un significativo processo di emersione, e ciò dipende soprattutto dal fatto che la regolarizzazione del rapporto di lavoro, quando avviene, può richiedere tempi lunghi.

Inoltre la formalizzazione del rapporto di lavoro si può trasformare in materia di scambio tra datore di lavoro e dipendente, in cambio, ad esempio, di una moderazione sulle richieste salariali, oppure di flessibilità nell’orario di lavoro.

Le donne immigrate inoltre sono spesso oggetto della cosiddetta “segregazione occupazionale” secondo la quale ad esempio le asiatiche, e in particolare le filippine, ad esempio, sarebbero più adatte come collaboratrici domestiche che badanti e, viceversa, le polacche, le centro- sudamericane e le altre donne dell’Est europeo più indicate per l’assistenza domiciliare.

La segregazione occupazionale è tanto più sentita quanto più si trasforma anche in “segregazione fisica”: all’interno dello spazio chiuso della casa si possono creare infatti delle situazioni di forte squilibrio di potere tra lavoratrice e datore di lavoro.
Ciò può avere effetti particolarmente pesanti sull’equilibrio psicologico delle lavoratrici. Nei casi peggiori si crea una totale identificazione tra luogo di lavoro e casa, con una perdita progressiva del proprio spazio privato e un’assenza di distinzione tra tempi di lavoro e di riposo.

La Commissione Parlamentare dell’Ucraina per gli Affari Esteri, in relazione alle implicazioni del lavoro domestico in co-residenza, ha sottolineato come le donne che lavorano soprattutto nel nostro paese spesso sviluppino la cosiddetta «sindrome italiana» caratterizzata da agorafobia, aggressività e altri stati di turbamento psichico.

Le donne straniere si sono inserite quindi in un settore lavorativo generalmente poco appetibile per le donne italiane, data la bassa retribuzione, l’impossibilità di crescita professionale, la gravosità e la pesantezza delle mansioni, oltre alla scarsa considerazione a livello sociale.

Si può affermare pertanto che la partecipazione delle donne italiane al mercato del lavoro se da una parte ha creato la domanda di lavoro delle donne straniere, dall’altra ne è diventata anche fortemente dipendente. Il lavoro domestico salariato delle donne immigrate consente alle italiane, com’è noto, un aumento dell’occupazione.

Questo fenomeno può essere interpretato come una forma di sfruttamento delle donne dei paesi del Terzo Mondo da parte di quelle occidentali, per cui si potrebbe dire che in un certo senso alcune italiane accettano e diventano complici di un sistema che protegge i loro ruoli nella riproduzione sociale, mentre allo stesso tempo nega quelli di altre donne.

Le donne immigrate corrono il rischio di essere vittime di una doppia discriminazione: etnica e di genere. Il pericolo per loro è di essere condannate all’invisibilità nel loro ruolo di assistenza domestica, confinate in un ambito strettamente privato, reso ancora più vulnerabile dalla eventuale assenza del permesso di soggiorno.

Tuttavia la scelta di emigrare è di per se stessa coraggiosa e indicativa di una volontà di essere artefici del proprio futuro e di conquistare o ri-conquistare una dignità spesso messa in discussione, generando un nuovo equilibrio all’interno della famiglia stessa e dell’intera comunità.

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